Con la “Nostra Filosofia” descriveremo come concepiamo i prodotti vegetali, il modo di porci in questo frenetico mercato in costante evoluzione e per quanto possibile, la nostra essenza. Tutto questo mediante un simpatico percorso, iniziando con un salto nel passato…
Gli anni passano, il mondo si evolve, il progresso dilaga a ritmi incalzanti e il nostro settore non poteva rimanere immune da tutto questo! Per comprendere quello che siamo oggi bisogna necessariamente ripercorrere un percorso a ritroso. D’altronde una filosofia, un modo di pensare, si sviluppa con il passare del tempo, in base agli eventi e inevitabili cambiamenti.
Molti anni fa non esisteva il farmaco come è concepito oggi, i farmaci erano le erbe, pozioni, cataplasmi, tisane, estratti di erbe… Poi venne la chimica e la capacità di isolare e sintetizzare i principi attivi. Si distinsero i due mondi, i nuovi farmaci divennero la medicina “ufficiale”, tutto il resto diventò “alternativo”. Tra le terapie alternative spiccava la fitoterapia, termine coniato nei primi del ‘900 che stava a significare “Cura delle malattie con le piante”, altro non era che il proseguo di ciò che era stato fatto per millenni, prima dell’avvento dei farmaci di sintesi.
Nel 1931 le piante ottennero finalmente un riconoscimento ufficiale, venne coniata la legge che disciplinava la coltivazione, raccolta e commercio delle piante officinali. La stessa legge conferiva all’erborista diplomato l’autorizzazione alla coltivazione, raccolta e preparazione industriale delle piante officinali, ma non la commercializzazione che rimaneva riservata alle farmacie.
Gli stessi anni però stavano segnando un altro importante cambiamento: venivano autorizzati sempre più farmaci di sintesi, i nuovi protocolli obbligavano all’uso degli stessi e di conseguenza le nuove lauree venivano formate in base ai nuovi protocolli e farmaci. Questo portò a un lento e progressivo allontanamento dall’uso delle piante officinali da tutto il comparto medico-farmaceutico.
Decreti attuativi successivi alla legge del 1931 autorizzarono la figura dell’erborista anche alla commercializzazione delle piante officinali ed è proprio in questo periodo che nella quasi indifferenza del comparto medico-farmaceutico (concentrato soprattutto sui nuovi farmaci), l’erborista prese silenziosamente per mano le piante officinali e con il passare del tempo (visto il crescente interesse sui derivati vegetali), sempre più aziende si dedicarono alla trasformazione e commercializzazione di prodotti a base di erbe.
Gli anni ‘80 segnarono l’inizio di un altro importante cambiamento, questa volta non normativo ma commerciale, iniziò a cambiare il modo di concepire il prodotto a base di erbe. Fino ad allora proposto sotto forma di tisane, compresse e capsule composte da erbe micronizzate e da estratti che venivano realizzati con metodi tradizionali (macerazione o percolazione). Tutti questi prodotti erano concepiti nel massimo rispetto del fitocomplesso e le confezioni avevano un contenuto “abbondante” per consentire dosi ponderali adeguate ad esplicare una reale azione fisiologica!
Ricerche di mercato evidenziarono che l’utenza preferiva l’assunzione del medicamento in forme pratiche (compresse capsule) e in dosaggi semplici. Ma come la tradizione insegna, l’assunzione delle erbe necessita di dosaggi più elevati di una o due pillole al giorno. Quindi per soddisfare tale necessità iniziò la corsa alla concentrazione del principio attivo funzionale dell’erba e la conseguenziale riduzione del dosaggio di assunzione giornaliero. Questo modo di agire inoltre, facilitava la commercializzazione del prodotto, inducendo l’utente a pensare: “più è concentrato, più è funzionale!”.
A metà degli anni ‘80 nacquero i primi estratti concentrati: diciture 1:4 ad esempio, stavano ad indicare che da 4 kg di erba si otteneva 1 kg di prodotto (4 volte più concentrato). Vennero accolti con molto interesse, poiché nell’immaginario collettivo il termine “concentrato” equivale a “più funzionale”. Mancava però qualcosa per colpire l’interesse generale, quello della classe medica per esempio, che ormai abituata a ragionare sui potenti principi attivi, guardava ancora con diffidenza la “semplice erbetta” anche se concentrata. Nasceva così un nuovo modo di individuare l’estratto concentrato, riportando in etichetta la titolazione (concentrazione) del principio attivo di base. Questo cambiamento a prima vista poco significante ha portato a profonde modifiche che si ripercuotono fino ai giorni nostri. Se vogliamo trovare un punto di inizio abbastanza recente che spiega ciò che siamo oggi, questo è senz’altro a metà degli anni ‘80, periodo in cui vennero “concepiti” i primi estratti secchi titolati in principio attivo. Ma ora continuiamo con il nostro percorso verso gli anni ‘90…
La sempre crescente richiesta di prodotti a base di erbe e la nuova forma titolata in principio attivo destò molto interesse nel comparto farmaceutico. E’ in questo periodo che si vedono molte multinazionali farmaceutiche rientrare con tutta la loro forza nel mondo del vegetale e le farmacie riassortire gli scaffali con prodotti a base di erbe. Il comparto medico in quel periodo era ancora abbastanza distaccato, era piuttosto facile sentire affermazioni simili a queste: “quella roba lì non serve a niente”; “io la toglierei dal mercato”, “è acqua fresca”.
Il 2001 è l’anno di una nuova svolta, tutti i prodotti di derivazione vegetale venivano assimilati agli integratori alimentari, al pari di prodotti per sportivi, yogurt arricchiti o gomme da masticare! Termini come fitoterapia, prodotto vegetale, prodotto erboristico, non esistono più! Dalla primavera del 2001 qualsiasi prodotto a base di erbe si chiama integratore alimentare.
L’assimilazione dei prodotti a base di erbe agli integratori alimentari ha portato a una profonda modifica che potremmo definire “bilaterale” alla cultura del modo di concepire un prodotto vegetale. Da un lato le aziende hanno continuato a standardizzare e titolare in percentuale sempre maggiore gli estratti di erbe, dando vita ad una rincorsa alla concentrazione spinta del singolo principio attivo. Dall’altro gli operatori del settore e dell’informazione hanno iniziato a valutare la qualità del prodotto, esclusivamente, in base alla quantità del principio attivo contenuto, perdendo di vista la sinergia con cui operano le molecole che costituiscono il fitocomplesso.
La funzionalità delle piante è strettamente legata al suo fitocomplesso, formato da varie molecole che ne assicurano l’attività e la funzione fisiologica. Prendiamo in esame il tè verde. Il principio attivo di maggiore interesse è rappresentato dai polifenoli, ma la foglia contiene anche caffeina, teobromina, teofillina, acido ascorbico, vitamine del gruppo B, calcio, ferro, fluoro, altre sostanze e un olio essenziale, solo in quest’ultimo in gascromatografia sono stati individuati oltre 300 composti diversi! Risulta evidente che se concentriamo il tè verde fino al 95% in polifenoli andiamo a snaturare l’equilibrio naturale del fitocomplesso. Da considerare inoltre che anche i polifenoli a loro volta sono fitocomplessi e nessuno sa con esattezza se l’attività antiossidante è esplicata da uno specifico o dalla sommatoria di più polifenoli o ancora da un equilibrio tra polifenoli e altre sostanze contenute nel vegetale. In alcuni casi un principio attivo e un fitocomplesso possono agire diversamente come vedremo nei prossimi capitoli.
L’esempio più evidente della differenza tra un fitocomplesso e un principio attivo isolato è quella che intercorre tra una spremuta di agrumi e l’acido ascorbico. L’importanza della vitamina C venne scoperta casualmente del 1600, l’epoca dei grandi viaggi in mare. Lo scorbuto mieteva molte vittime fra i marinai, finché si accorsero che sulle navi su cui venivano trasportati gli agrumi il problema non sussisteva. Ovviamente all’epoca non sapevano quale sostanza curativa all’interno dell’agrume riuscisse a sconfiggere lo scorbuto, la concentrazione e isolamento dei principi attivi avvenne molti anni dopo, come vedremo nel prossimo capitolo.
Le prime estrazioni di vitamina C avvennero nei primi del 1900. Oggi si riproduce sinteticamente a partire dal glucosio, fino ad arrivare all’acido L-ascorbico che viene comunemente chiamato Vitamina C. Gazave nel 1977 frazionò il succo di arancia in due parti: la prima composta da acido L-ascorbico (fattore C1), la seconda dal resto dell’agrume (fattore C2) (*). Gazave dimostrò che i due fattori somministrati singolarmente non erano in grado di impedire l’insorgenza dello scorbuto. Riunendo le due frazioni, la miscela ottenuta riacquistava le proprietà antiscorbutiche caratteristiche del succo originale. Questo interessante esperimento evidenzia che non sempre “isolare e concentrare” principi attivi è sinonimo di funzionalità quando ci si riferisce a fitocomplessi vegetali. (*) Informazioni estratte dal testo “Chimica e farmacologia delle piante medicinali”, di Marzio Perdetti.
In commercio si trovano prodotti in vari formati, più o meno concentrati e standardizzati, in mezzo a prodotti ben fatti se ne collocano altri che non sono né concentrati né ben fatti, ma solo costosi, con un contenuto di prodotto ridicolo e posologie del tutto insufficienti a svolgere una qualsiasi azione fisiologica. Purtroppo non tutti gli addetti ai lavori sono in grado di cogliere tali differenze! Siamo giunti alle conclusioni, sperando che abbiate trovato interessante e anche divertente il percorso che vi abbiamo proposto. Questa è la nostra interpretazione degli eventi in ordine temporale che ci ha portato a sviluppare una forma di pensiero. In questo contesto cerchiamo di portare avanti la tradizione erboristica, non escludendo estratti concentrati, di fatto ne facciamo uso, ma siamo contrari all’eccessiva standardizzazione. Il nostro intento è quello di restituire al prodotto vegetale la giusta dignità sottrattagli dall’eccessiva industrializzazione. In ultimo, applichiamo prezzi accessibili, consci del fatto che il prodotto vegetale non debba essere un prodotto di élite, ma alla portata di tutti.